L’articolo 12 della Legge Quadro 05.02.1992 n. 104 sancisce il diritto all’educazione e all’istruzione per tutti gli alunni disabili; tuttavia questa norma spesso si scontra con una realtà caratterizzata da un’attribuzione di risorse non sufficiente rispetto al numero di alunni con disabilità presenti nelle scuole italiane.
La riduzione dell’organico di sostegno innesca sentimenti di rabbia e di sfiducia, sia nelle famiglie che non vedono riconosciuti i propri diritti, sia negli insegnanti; da una parte i docenti curricolari che non si reputano capaci di affrontare i comportamenti problema dell’alunno disabile quando non è presente la figura specializzata, dall’altra parte gli insegnanti di sostegno che sentono di non avere il pieno controllo della situazione, a causa di un’assegnazione oraria non adeguata ai bisogni dell’alunno.
L’intreccio di questi sentimenti, più che comprensibili, non deve far perdere di vista l’obiettivo prioritario, nemmeno in presenza di gravi disabilità, poiché, attraverso la strutturazione di un Piano Educativo Individualizzato (PEI), costruito su misura dell’alunno, è sempre possibile lavorare sulle potenzialità emergenti affinché diventino capacità.
La rilevazione delle aree emergenti, ossia la zona di sviluppo prossimale, descritta da Vygotskij come la distanza tra ciò che il soggetto è in grado di fare da solo e ciò che può svolgere con l’aiuto di un individuo più competente, è fondamentale al fine di personalizzare e aggiustare l’intervento didattico ed educativo rivolto ad ogni singolo alunno.
Un’attenta valutazione dei punti di forza e di debolezza, attraverso l’utilizzo di strumenti come le prove strutturate, le check list, l’osservazione descrittiva e sistematica, l’analisi funzionale del comportamento, permette di individuare quelle aree su cui è possibile lavorare, anche quando ci si trova di fronte alle situazioni più difficili.
Soprattutto in presenza di gravi disabilità, una volta individuate quelle che sono le potenzialità emergenti, occorre definire pochi obiettivi, tenendo ben presente che il loro completo raggiungimento potrebbe richiedere tempi assai lunghi, intervallati da momenti caratterizzati da progressi e da momenti contraddistinti da regressioni.
Risulta funzionale declinare l’obiettivo in sotto-obiettivi, attraverso la metodologia della task analysis, sia per strutturare il lavoro in maniera più graduale sia per non farsi travolgere da sentimenti di frustrazione e impotenza.
L., alunna con sindrome di Down, grave ritardo cognitivo ed emiparesi sul lato destro del corpo, al termine del primo anno di frequenza della scuola primaria, ha acquisito l’esatta procedura per lavarsi e asciugarsi le mani, grazie alla stretta collaborazione dei genitori, del docente di sostegno e dell’educatore scolastico.

È pertanto basilare l’azione di raccordo da parte del docente di sostegno per favorire un’efficace circolarità delle informazioni fra tutte le figure che hanno in carico l’alunno: genitori, docenti, clinici, educatori.
P., alunno con disturbo del linguaggio e ritardo cognitivo, ha avuto accesso al linguaggio grazie all’azione sinergica delle figure che si occupano di lui; la logopedista, dopo aver appreso dai genitori dell’interesse di P. per alcuni animali, ha fatto leva su tale aspetto per aiutarlo a pronunciare le prime parole. Dall’altra parte i genitori e le docenti di scuola dell’infanzia sono stati continuamente supportati dalla figura specialista per aumentare il repertorio di parole del bambino.
Anche in presenza di comorbilità, attraverso un intervento corale è possibile strutturare un Progetto di vita che si estenda a 360 gradi e che consenta la generalizzazione delle capacità in ogni contesto nel quale il bambino si trova ad agire. Ciascuno, a seconda del ruolo che riveste, può apportare un prezioso contributo per definire e attuare un Progetto di Vita in prospettiva futura. Non dimentichiamo però di credere costantemente nel miglioramento perché per ogni alunno c’è sempre un margine di recupero, a prescindere dal tipo e grado di disabilità.

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