
ARTICOLO SCRITTO DA: LUCA CAMPANELLI, PEDAGOGISTA E FORMATORE PER L’ASSOCIAZIONE FORMA
Nella progettazione educativa si cerca di dare una logica e un’organizzazione ordinata a un determinato programma che si andrà ad affrontare, ma è inevitabile, come abbiamo ben visto in quest’ultimo anno, che l’insegnante, il pedagogista, l’educatore, il progettista educativo, dovrà affrontare e confrontarsi con l’imprevedibilità e l’incertezza, nonostante l’azione educativa possa basarsi su teorie e metodologie già comprovate in altre sedi.
L’agire educativo è cioè definito anche dall’imprevisto e dall’imprevedibile che non può manifestarsi a priori. Pertanto l’educazione che si fa pratica dovrà necessariamente fare i conti con conclusioni indeterminate, che al livello epistemologico non sono traslabili in altri spazi dell’educare.
L’imprevedibile è dato, oltre che da variabili esterne, anche da variabili interne e soggettive, articolandosi in una struttura complessa che coinvolge le caratteristiche proprie dei soggetti coinvolti e quelle relative ai processi interpersonali. Perciò dobbiamo essere coscienti di questa inevitabile condizione e non farci destabilizzare se gli eventi non conducono alla strada che ci eravamo programmati attraverso una pianificazione calcolata e ragionata.
“L’inatteso ci sorprende. Il fatto è che ci siamo installati con troppa grande sicurezza nelle nostre teorie e nelle nostre idee, e che queste non hanno alcuna struttura di accoglienza per il nuovo. Il nuovo spunta continuamente. Non possiamo mai prevedere il modo in cui si presenterà, ma dobbiamo aspettarci la sua venuta, cioè attenderci l’inatteso. E, una volta giunto l’inatteso, si dovrà essere capaci di rivedere le nostre teorie e idee più che fare entrare con il forcipe il fatto nuovo nella teoria incapace di accoglierla veramente.” [1]
Bisogna riconoscere l’esistenza della “zona buia” dell’imprevedibilità e non voler necessariamente agire secondo un procedimento totalmente controllato quando abbiamo a che fare con le dinamiche della vita. Ciò significa che appoggiarsi totalmente a modelli precostituiti e non accettare possibilità d’imprevisto, fa sì che ogni azione che perseguiamo, che non va nella direzione prestabilita, viene giudicata come errore.
Le variabili che possono condurre a cambiare i nostri programmi, a rivederli, ad aggiustare il tiro, non devono spaventarci. Il bello di un percorso educativo sta proprio nell’imprevedibile. Ciò non significa procedere a occhi chiusi guidati dalla mera teoria che indica la direzione, bensì avere un senso d’attenzione e di osservazione così ampio da vedere tutte le possibilità possibili e accettare anche quelle impreviste e imprevedibili.
Non è quindi un procedere senza significato, ma è anzi l’atto di procedere in sé che realizza il significato, dato che questo non è già costituito, se non dalla base teorica che lo sostiene.
È importante saper distinguere un agire guidato dall’adesione a una determinata linea guida, da un percorso il cui senso è costruito sulla base dell’imprevedibile e del controllo limitato dell’evento. In questa ottica diviene importante superare lo sterile dirigenzialismo da cattedra, che impedisce di cogliere l’elemento non previsto come risorsa. Questa capacità di intravedere nel fattore “perturbante” un’opportunità è sempre stata propria delle scienze umane; ma nella società post-moderna viene minacciata da una cultura del controllo e della prevedibilità matematica che mira ad avere come unici obbiettivi il massimo del profitto e del rendimento.
In questa direzione l’approccio umanistico e più propriamente quello pedagogico finisce per snaturarsi di quegli elementi che lo rendono processo in divenire e plasmabile.
È chiaro che, come in ogni scienza, sia necessaria una fase di programmazione che si avvalga di metodi e strumenti offerti dall’epistemologia delle scienze; ma la ricerca deve andare ben oltre, dandosi finalità, in un certo senso utopiche, che superino il raggiungimento di parametri standard, considerando che l’oggetto del processo educativo è l’essere umano e che le sue potenzialità e le sue caratteristiche non sono omologabili come avviene per i prodotti sul mercato.
Note
[1] E. (2001) I sette saperi necessari all’educazione del futuro, Milano: Raffaello Cortina Editore p.30
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