Il timore del cambiamento: un’opportunità per scoprirci umani

Il timore del cambiamento: un’opportunità per scoprirci umani

12/10/2021

ARTICOLO SCRITTO DA: CAROLINA BIANCHI FORMATRICE SCUOLA OLTRE

IL TIMORE DEL CAMBIAMENTO: UN’OPPORTUNITÀ PER SCOPRIRCI UMANI

Falso agg. [lat. falsus, propr. part. pass. di fallĕre «ingannare»]. – In genere, si definisce falso tutto ciò che è sostanzialmente non vero, ma è creduto o si vuole far passare per vero. Che non ha fondamento di verità e si discosta da essa pur avendone l’aspetto, per cui può trarre in inganno o condurre all’errore. Fonte: Enciclopedia Treccani online.

Inganno, errore, non autenticità. Il termine “falso” nella nostra lingua e cultura è quasi sempre associato a una serie di immagini negative.

Ma siamo sempre sicuri che sotto il velo del “falso” non si possano scorgere profonde verità?

Quando ci troviamo davanti a un falso – vedremo in seguito che questo si adatta bene sia all’ambito artistico che a quello scientifico – varrebbe la pena, prima di dare giudizi morali o etici sul valore dell’oggetto o idea, chiedersi il perché qualcuno abbia speso tempo ed energie nel produrre o ideare… un falso.

 

 

Parlando del falso in ambito artistico, Cristina Muccioli (1), ci spiega che “il falso si fa documento storico assai veritiero del gusto estetico di un’epoca”. L’impegno di artigiani e collezionisti nel produrre e acquistare certi pezzi si fa specchio dell’interesse e dei gusti che in una certa epoca sono dominanti in senso estetico.

Mi risulta inevitabile fare un parallelismo con la scienza, pensando alle Fake News. Cosa ci possono raccontare notizie false e leggende metropolitane in ambito scientifico? Cosa c’è, di vero, in loro?

Anche in questo caso, ci raccontano molto degli abitanti dell’epoca in cui sono state concepite.

Come racconta in modo eccellente Andrea Candela (2), possiamo leggere chiaramente nel “falso scientifico” (ma anche in narrazioni e interpretazioni pittoresche del vero) l’immaginario scientifico di un’epoca, ovvero l’idea di scienza che alberga in ognuno di noi, abitanti di un determinato momento storico.

Tale idea inevitabilmente alimenta e allo stesso tempo si nutre non solo di letteratura scientifica, ma anche e soprattutto di finzione letteraria, cinema, arte e narrativa. Si forma muovendosi nello spazio delle nostre relazioni, e nella nostra educazione. Quella dello scienziato è un’idea spesso stereotipata, che si definisce spesso per dicotomie: buono/cattivo, genio/folle, elisir/veleno, vita/morte.

Questa lettura del falso ci racconta spesso la reazione che le persone hanno nei confronti del cambiamento in ambito scientifico e tecnologico. Sembrerà stupefacente, ma in epoche e contesti diversissimi la reazione è quasi sempre la stessa: un tessuto inestricabile fatto di fascino e timore.

Che cosa hanno in comune l’antichissima leggenda del Golem (di cui possiamo contare diverse versioni, comparse nel corso dei secoli), la storia di Frankenstein, le narrazioni e le fake news riguardo l’avvento dei primi figli nati “in provetta”, riguardo gli OGM (che forse, per anzianità, avrebbero dovuto essere posti all’inizio di questa lista) e l’Intelligenza Artificiale?

Ci raccontano, in modo diverso e tramite linguaggi propri dei diversi momenti storici, di che cosa è fatto il tessuto inestricabile di cui parlavamo poco fa: la possibilità da parte dell’uomo di farsi creatore, di sovvertire in qualche modo l’ordine naturale (e talvolta soprannaturale) delle cose. La conoscenza – spesso in ambito scientifico – porterà alla creazione di qualcosa che prima o poi si ribellerà all’umanità stessa.

 

 

Uno dei più recenti cambiamenti che stiamo osservando e che probabilmente sarà sempre più parte integrante delle nostre vite, è la presenza nella nostra esistenza di macchine dotate di intelligenza artificiale. Un concetto apparentemente giovane, anche se la ricerca in questo senso (contestualizzata chiaramente alle conoscenze dell’epoca) è iniziata ben prima di quanto si possa immaginare, infatti già nell’antica Grecia erano stati progettati e realizzati degli automi antropomorfi capaci di versare il vino.

Fascino e timore, a mio parere, sono ancora una volta gli ingredienti principali dell’atteggiamento umano nei confronti dell’intelligenza artificiale, lo dimostrano i numerosi film e le numerose opere di letteratura che sono state prodotte (basti pensare allo scenario descritto da Ridley Scott in Blade Runner, trasposizione cinematografica del romanzo Do Androids Dream of Electric Sheep? di Philip K. Dick) (3).

Senza entrare nel dettaglio tecnico, che non mi compete, una volta dato un senso al nostro sentimento ancestrale, credo che il confronto dell’essere umano con questo tema possa essere un’occasione imperdibile per domandarci che cosa definisce un umano. Davanti a macchine in grado di produrre delle opere d’arte originali e di produrre musica (4), possiamo dire che la creatività sia una caratteristica squisitamente umana? Davanti alle forme tondeggianti e infantili di un robot proviamo senso di protezione e accudimento come nei confronti di cuccioli viventi? Quale etica insegnare a una macchina?

Io credo che la capacità di porci domande, mettere e mettersi in dubbio costantemente sia proprio una delle caratteristiche che ci rende umani. La prossima volta che ci troveremo spaventati da novità apparentemente incontrollabili, disorientati e in balìa di informazioni apparentemente false, potrebbe essere una buona idea quella di rispolverare una domanda, che è tanto cara ai bambini, esploratori del mondo: perché?

Da domanda, si trasformerà in un’ottima risposta.

Bibliografia

(1) Muccioli C. (2018) “L’estetica del vero. Le idee e le immagini della verità nella storia dell’arte”. Prospero Editore

(2) Candela A. (2013) “Dal sogno degli alchimisti agli incubi di Frankenstein. La scienza e il suo immaginario nei mass media”. FrancoAngeli

(3) Mostra “Robot The Human Project”, MUDEC Milano, 2021

(4)  Si vedano, ad esempio, il collettivo artistico Obvious e il progetto del Prof. David Cope, Emily Howell

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