Nel gioco «si fa per fare e soprattutto si fa perché si ha voglia, si trae piacere dal fare in sé»
(Musatti e Mayer, 2003, p.56).
Il gioco è il modo naturale con cui si esprime il bambino e rappresenta un aspetto fondamentale della sua vita, è una risorsa con un valore inestimabile per la crescita ed è stato spesso associato con le funzioni adattive del bambino (Russ, 2004). Nelle azioni del bambino che gioca è possibile delineare una metafora del suo sviluppo interiore, tanto in merito alle funzioni cognitive, quanto agli aspetti affettivi e ai vissuti relazionali. Per questi motivi, il gioco può essere considerato un’area di studio di significativa importanza per l’osservazione dei processi mentali del piccolo, oltre a costituire il veicolo principe di comunicazione del bambino, in quanto strumento privilegiato per aiutarlo a condividere i propri stati emotivi e le abilità cognitive.
Come suggerito da Piaget, ci sono molteplici tipologie di gioco che egli suddivide in base all’evoluzione dei processi cognitivi coinvolti (giochi di esercizio, giochi simbolici, giochi di regole). Tra essi, troviamo il gioco simbolico o “gioco del far finta”. Nel gioco simbolico “una cosa è trattata come se fosse un’altra” (Fein, 1987). Il gioco simbolico è puramente assimilativo e aggiunge all’esercizio stesso la dimensione della simbolizzazione e della finzione, della capacità di rappresentare, attraverso gesti, una realtà non attuale (ad esempio una banana può diventare un telefono; giocare a “mamma e papà…”). Esso inizia quando le azioni di routine e gli oggetti sono distaccati dai loro ruoli tipici e dalle loro funzioni e vengono utilizzati in una maniera atipica, giocosa, creativa. Sebbene, come è noto, il gioco simbolico riveste una particolare importanza durante la prima infanzia (2-5 anni), ricerche recenti ne dimostrano il suo ruolo chiave anche durante gli anni successivi (fino ai 10 anni).
Secondo Piaget il gioco simbolico ha la funzione di organizzare il pensiero del bambino in uno stadio in cui il linguaggio non ha ancora raggiunto la sua piena padronanza. È, infatti, proprio il gioco simbolico che consente al bambino di manipolare e produrre immagini mentali durante le quali, tramite la ripetizione, può assimilare situazioni nuove.

Molti autori concordano nell’affermare che il gioco simbolico ha molteplici funzioni, tra cui la capacità di ridurre le paure, il dolore e l’ansia; di aiutare i bambini a vivere ed esprimere le emozioni e di promuovere lo sviluppo cognitivo, le abilità di problem solving e di adattamento del bambino (Vygotsky, 1966). Inoltre il gioco simbolico è elemento importante per lo sviluppo sociale: il bambino mentre gioca con gli altri apprende e interiorizza regole, norme e ruoli sociali. Competenze sociali quali condividere i giochi, rispettare i turni e interagire verbalmente, sono importanti per lo sviluppo di comportamenti relazionali più complessi che permettono al bambino di funzionare adeguatamente nel contesto in cui è inserito. I bambini che apprendono queste abilità sanno iniziare il gioco, inserirsi in gruppi già formati e risolvere il confitto con più facilità. Il gioco simbolico è connesso anche all’empatia. Attraverso il gioco simbolico, i bambini hanno l’opportunità di “mettere in scena” situazioni e comportamenti sociali che possono facilitare loro la comprensione del mondo in cui vivono (Moore e Russ, 2008).
Il gioco simbolico sembra anche essere connesso con lo sviluppo del linguaggio, della memoria, della creatività e del pensiero divergente. Alcuni studi hanno dimostrato come i “buoni giocatori” abbiano un più alto livello di attenzione, motivazione e predisposizione all’apprendimento scolastico rispetto ai compagni; altri hanno trovato che bambini appartenenti ad uno status socio-economico meno agiato mostrano una tipologia di gioco meno sofisticata rispetto agli appartenenti a classi più benestanti. Tuttavia, un aspetto saliente e condiviso che emerge da recenti ricerche, enfatizza come le abilità di gioco simbolico possono essere arricchite e ampliate, tramite laboratori e/o attività specifiche, grazie alla presenza di una guida (per esempio il genitore, un insegnate, un compagno più esperto…), che sappia coinvolgere il bambino tanto sul piano ludico quanto su quello dell’intensità emotiva che si attiva durante un’attività piacevole in interazione con l’altro. Alcune ricerche evidenziano come l’insegnamento attraverso il gioco e l’insegnamento integrato con il gioco permettono agli alunni di acquisire, e fare proprie, le conoscenze trasmesse. Inoltre evidenze empiriche suggeriscono come brevi momenti di interruzione, durante la lezione, in cui si lascia spazio al gioco, aiutano i bambini a ridurre le interferenze cognitive e massimizzano l’apprendimento (Pellegrni e Bohn, 2005).
Risulta quindi evidente come il gioco simbolico sia un elemento cruciale per il benessere del bambino e soprattutto come sia necessario promuovere, stimolare e valorizzare tale attività, nel maggior numero di occasioni e istituzioni possibile (ad esempio famiglia, scuola, attività sportiva…).

Fein, G. (1987). Pretend play: Creativity and consciousness. in P. Gorlitz & J.Wolhill (edd.), Curiosity, imagination, and play (pp. 281-304), Lawrence Erlbaum Associates, Hillsdale, NJ.
Moore, M., & Russ, S. W. (2008). Follow-up of a pretend play intervention: Effects on play, creativity, and emotional processes in children. Creativity Research Journal, 20(4), 427-436.
Musatti, T., & Mayer, S. (2003). Il coordinamento dei servizi educativi per l’infanzia: una funzione emergente in Italia e in Europa. Bergamo: Edizioni Junior.
Pellegrini, A. D., & Bohn, C. M. (2005). The role of recess in children’s cognitive performance and school adjustment. Educational Researcher, 34, 13–19. http://dx.doi.org/10.3102/0013189X034001013
Russ, S. W. (2004). Play in child development and psychotherapy: Toward empirically supported practice. Mahwah, NJ: Erlbaum.
Vygotsky, L. (1966). Development of higher mental functioning. Psychological research in the USSR. Moscow: Progress Publishers.
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