Educare al cambiamento

 Di Chiara Carletti – Autrice e formatrice Scuola Oltre

All’interno di uno scenario mondiale complesso e mutevole, l’educazione reca in sé l’energia necessaria a determinare una rigenerazione sia sociale che umana, fondata sulla flessibilità, sulla capacità di far fronte all’incertezza e adattarsi al cambiamento. Si fa dunque sempre più urgente l’esigenza di ripensare a un nuovo progetto di uomo e di cittadino: attivo, critico, consapevole, capace di coltivare il dubbio e di affrontare il cambiamento, dunque in grado di imparare a vivere (Morin, 2015).

Negli ultimi mesi un’emergenza sanitaria imprevedibile e di dimensioni mondiali, ci ha costretti a modificare le nostre vite, le nostre abitudini, le relazioni con gli altri e, inevitabilmente, il nostro modo di insegnare e fare didattica.  Le difficoltà sono state enormi, sia per gli studenti sia, soprattutto, per i docenti. Non siamo preparati al cambiamento, tutto ciò che modifica lo status quo viene guardato con diffidenza, timore, in quanto ci obbliga ad abbandonare le nostre rassicuranti certezze. La DaD, ovvero la ormai nota “didattica a distanza”, ha costretto i docenti a reinventare nuove modalità di insegnamento, mediate dal digitale: piattaforme come Zoom, Go to meeting, Meet, Google classroom, Moodle e molte altre, sono divenute luoghi di incontro virtuali attraverso i quali rimanere “in contatto” con gli studenti. Da un certo punto di vista la tecnologia è risultata fondamentale, in quanto ci ha consentito di non fermare tutto, garantendo continuità educativa. Non solo, ci ha assicurato flessibilità, facilitando l’organizzazione in termini di tempo e spazio. Ha fatto tutto questo con costi ridotti.  Se lo guardiamo però da un altro punto di vista, il digitale non è riuscito comunque a supplire all’aspetto fondamentale dell’educazione, ovvero la relazione educativa. Questa è alla base della formazione del soggetto, così come del suo processo di costruzione identitaria, andando ad intervenire sia sulla cura di sé sia su quella degli altri. Nessun apprendimento può avvenire al di fuori di essa, in quanto si tratta di una relazione basata sulla dialogicità: presuppone empatia, dialogo, comprensione e fiducia nell’altro.

Il digitale rende invece l’ascolto attivo dell’educatore molto più difficile, poiché non consente di cogliere sguardi, gestualità, sfaccettature che fanno parte della comunicazione non verbale e che aiutano a comprendere tutte quelle dinamiche che risultano essere di fondamentale importanza per il docente, guidando il suo approccio, così come i suoi tempi, il suo atteggiamento e il tono della voce, a seconda dei bisogni contingenti degli studenti.

Questi mesi di lockdown ci hanno dunque posto di fronte a dei limiti, così come ad alcuni errori. Prendiamo questi due termini, limiti ed errori, come parole chiave a partire dalle quali sviluppare la riflessione a seguire.

La consapevolezza dei nostri limiti è certamente il primo passo verso il cambiamento. Cambiamento con il quale abbiamo dovuto fare i conti, nostro malgrado. Questo ha investito noi stessi, ma più in generale ha interessato l’intera società. Lo ha fatto questa volta in una forma più virulenta, più sfacciata e plateale, ma di fatto da decenni stiamo assistendo a trasformazioni epocali che rendono l’attuale società, cosiddetta postmoderna, estremamente complessa. Solo l’educazione può fornirci gli strumenti necessari per abitarla. Questo comporta una mente abituata alla messa in discussione e all’esercizio del dubbio, una mente riflessiva, critica e auto-critica, una mente che sappia guardare oltre, adottando uno sguardo da lontano capace di prendere in considerazione punti di vista inediti. Una mente di questo tipo non solo sa riconoscere i propri limiti, ma sa anche guardare all’errore uscendo dalla propria cornice di riferimento, osservarlo da prospettive diverse per coglierne le enormi potenzialità. Dall’errore possiamo imparare, noi, così come i nostri studenti. L’errore ci ricorda la nostra imperfezione, che è a sua volta il tratto distintivo dell’essere umano: ciò che ci rende unici, ma anche la forza che ci spinge a migliorare, a crescere e a voler imparare sempre cose nuove. Socrate in questo senso è stato forse il più grande maestro dell’imperfezione, colui che ci ha posto di fronte ai nostri limiti, alle nostre presunzioni di certezza, alle nostre facili illusioni. L’ironia socratica risiede tutta in questa frase: «La sola certezza che ho, è che so di non sapere». Queste sue parole, a distanza di più di duemila anni, ci cadono ancora oggi addosso come un macigno, a ricordarci che la vita è una continua ricerca. Ricerca della verità, ricerca del sapere, ricerca di noi stessi. Qualunque tipo di ricerca sia, questa implica il saper accogliere un cambiamento. Si tratta di una capacità, oggi più che mai, fondamentale. Di fronte a uno scenario complesso e mutevole come quello attuale, occorre imparare a pensare la complessità. Ciò, tra le altre cose, significa proprio educare al cambiamento, all’ignoto, all’imprevisto. «Come fare?»

Se caliamo queste domande all’interno del contesto classe, ricordando che l’aula, a sua volta, costituisce una specie di micro-cosmo che riproduce l’ordine sociale, si fa evidente la necessità per un insegnante di disporre di strumenti adeguati per educare alla complessità. Uno di questi strumenti, a mio avviso, potrebbe essere il dispositivo pedagogico dell’ironia, inteso alla maniera di Rorty (1989) o, se preferite, di Socrate. L’ironia determina il costituirsi di atteggiamenti che hanno a che fare con la solidarietà, la coesione, il dialogo, ma anche l’adattabilità, la resilienza, il pensiero critico e divergente. Questa si configura come un esercizio dialettico che ci aiuta a scegliere, a riconoscere le illusioni, ad affrontare gli errori e le incertezze, a comprendere la complessità che ci circonda e ad aprirci al cambiamento. Essa rappresenta inoltre una via di accesso privilegiata alla conoscenza dell’altro, in quanto ci abitua alla messa in discussione di noi stessi. Concordo con chi afferma che oggi per essere cittadini del mondo, sia necessario attrezzarsi di un habitus ironico (Cambi e Giambalvo, 2008).

Riportare l’ironia all’interno dei processi formativi e coltivarla già a partire dall’infanzia, attraverso la letteratura, il gioco e tutta una serie di attività creative che abituano la mente alla meta-riflessione, significa stimolare lo sviluppo di competenze che sono alla base di una convivenza autenticamente democratica, cioè caratterizzata da atteggiamenti orientati alla negoziazione, al dialogo, al confronto, al pluralismo, all’empatia e al rispetto dell’altro. L’educazione dovrebbe infatti rendere gli individui agenti critici di cambiamento sociale, economico e politico, a partire da una responsabilizzazione personale dei propri comportamenti e delle proprie azioni (Dewey, 2014). La categoria pedagogica dell’ironia agisce sulla meta-cognizione, spinge cioè gli individui ad approfondire i loro pensieri e a dirigere i propri apprendimenti. Si tratta di un processo autoriflessivo che orienta le nostre azioni e agisce sullo sviluppo del pensiero critico. Formare menti ironiche significa educare bambini e bambine, uomini e donne, cittadini e cittadine al cambiamento, aprirli alla messa in discussione, superando i propri limiti e trasformando gli errori in opportunità.

Bibliografia

 

Bauman, Z. (2002). Il disagio della postmodernità. Milano: Mondadori.

Cambi, F., Giambalvo, E., (a cura di) (2008). Formarsi nell’ironia. Un modello postmoderno, Palermo: Sellerio Editore.

Ceruti, M., (2018). Il tempo della complessità. Milano: Raffaello Cortina.

Dewey, J. (2014) (Ediz. Originaria 1938). Esperienza e Educazione. Milano: Raffaello Cortina Editore.

Goleman, D., Ray, M. & Kaufman, P. (2017). Lo spirito creativo. Milano: Rizzoli.

Kierkegaard, S. (1995), Sul concetto di ironia in riferimento costante a Socrate. Milano: Mondadori.

Lévi-Strauss, C. (1984). Lo sguardo da lontano. Torino: Einaudi.

Lyotard, F.J. (2014). La condizione postmoderna. Rapporto sul sapere. Milano: La Feltrinelli.

Morin, E. (1993). Introduzione al pensiero complesso. Milano: Spearling & Kupfer.

Morin, E. (2000), La testa ben fatta. Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero. Milano: Raffaello Cortina Editore.

Morin, E. (2015). Insegnare a vivere. Milano: Raffaello Cortina Editore.

Morin, E. (2017). La sfida della complessità. Firenze: Le Lettere.

Robinson, K., Aronica, L. (2016). Scuola creativa. Trento: Erickson.

Rodari, G. (1973). Grammatica della fantasia. Torino: Einaudi.

Rorty, R. (1989). La filosofia dopo la filosofia. Roma-Bari: Laterza

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