
ARTICOLO SCRITTO DA: CAROLINA BIANCHI FORMATRICE SCUOLA OLTRE
Cari lettori e care lettrici,
Prima di addentrarmi nelle mie riflessioni, vorrei iniziare con un invito: quello di leggere questo articolo da due differenti punti di vista, in dialogo tra loro.
Quello degli educatori, insegnanti, formatori che siete oggi e quello degli alunni, dei bambini che siete stati, e che forse, portate ancora per mano.
«Prof., ma questo argomento lo abbiamo già fatto in storiaı».
«Ah, ma questo argomento non era di arte?!»
«Ma che domanda fai, lei è la prof. di matematica, mica di musica!»
Durante la mia vita scolastica (da entrambe le parti della cattedra) mi è capitato moltissime volte di sentire delle frasi come queste, pronunciate dai miei compagni o dai miei alunni. Spero di essere un caso isolato, e che nelle vostre vite vi siate raramente imbattuti in queste parole. In caso contrario, spero abbiate provato lo stesso senso di disagio che provo io ogni volta.
Nella mia testa immagino la realtà, distesa e anestetizzata sul tavolo operatorio, circondata dalle materie, sapienti chirurghe armate di bisturi.
A mio parere, la visione dovrebbe essere invertita, dovremmo visualizzare un certo argomento di cui si sta parlando come un grande puzzle, in cui ogni parte è pregna dei contributi delle diverse discipline. Non dovrebbe stupire che un certo tema trattato in scienze lo si possa ritrovare anche in storia, o che la professoressa di musica possa spiegarci dei concetti associati esclusivamente alla matematica.
L’organizzazione disciplinare nasce formalmente nel XIX secolo, da allora il processo di specializzazione e di iperspecializzazione ha subito una progressiva crescita, connessa anche all’avanzamento e all’ampliamento della conoscenza nei vari ambiti del sapere. Questo processo ricalca quello che accade nella nostra vita di studenti: dalla scuola superiore in poi iniziamo a fare scelte specializzanti, che ci porteranno ad approfondire certi aspetti della conoscenza, del reale, piuttosto che altri. Il tempo non ci permette di diventare esperti in ogni ambito, non basterebbe infatti una vita intera per riuscire nell’intento.
Nel tentativo di mettere in comunicazione le varie discipline, si parla spesso di interdisciplinarità, di progetti multidisciplinari. Quello a cui ho assistito molte volte è l’incontro sullo stesso tavolo di diverse discipline che trattano un argomento da diversi punti di vista. Il concetto di disciplina, di materia, resta ancora la lente attraverso cui guardare il mondo, il confine entro cui delimitare il nostro approccio nei confronti di un particolare soggetto. Tutto questo risponde a una logica di semplificazione e riduzione, in netto contrasto con un approccio transdisciplinare alle discipline che ci consentirebbe di giungere a una conoscenza più approfondita che tiene conto di più punti di vista.
Oltre che attraverso progetti di questo tipo, per operare una rivoluzione nel modo di vedere il mondo, credo che il cambiamento più importante debba avvenire dentro di noi. La suddivisione della realtà, del sapere in materie, è uno strumento nelle nostre mani, non è il recinto all’interno del quale ci deve essere concesso di muoverci.
Il mio invito prende ispirazione da una frase di Stewart Brand: “non puoi cambiare la testa delle persone, ma puoi dare loro strumenti diversi”. Spogliamo perciò le sapienti chirurghe dal loro camice, leviamo loro il bisturi, e armiamole di pennelli, di colori e di una grande tela collettiva, sulla quale dipingere insieme il grande disegno del sapere e della realtà.
In termini concreti, proviamo per esempio a proporre ai nostri studenti un’opera d’arte nell’ora di scienze, senza etichettarla come: «l’arte racconta in questo modo questo fenomeno scientifico», ma rivolgendo la potente domanda: «cosa vedi?», lasciando aperto l’immenso spazio delle possibilità, consentendo ai pensieri di danzare al ritmo dell’intuizione e della creatività.
Stefano Cagol, The Ice Monolith, 2013. Riva Ca’ di Dio, Venezia 2013. Maldives Pavilion, 55. Biennale di Venezia
Vi ho fatto un esempio relativo ad arte e scienza, perché è quello che ho deciso di conoscere nel tempo che ho avuto a disposizione, ma ognuno di noi potrebbe fare diversi esempi, avere svariate intuizioni in base alle proprie passioni. Quello che conta è a mio avviso l’approccio, aperto e libero da etichette.
Secondo Lewis Mumford fu proprio questa visione, libera da inibizioni e fissazioni scolastiche, che permise a Darwin, appassionato di animali e coleotteri, di abbracciare l’intuizione che gli garantì un posto nella storia.
I grandi biologi evoluzionisti Stephen Jay Gould e Richard C. Lewontin spiegarono una delle loro più brillanti teorie grazie ad un’intuizione avuta all’interno della Basilica di San Marco, osservandone i pennacchi.
Il mio è un invito a conservare, nel processo della specializzazione, lo sguardo ingenuo e illuminato dell’amatore, come direbbe Edgar Morin. Quello sguardo di chi, pieno di meraviglia, guarda a qualcosa di nuovo accogliendo la sorpresa.
Concludo con una piccola nota biografica. Nel mezzo del percorso universitario per diventare biologa ho attraversato una grossa crisi perché non provavo più amore per quello che stavo studiando. Il processo di specializzazione mi stava inaridendo. Ho ritrovato l’amore per la scienza grazie alla formazione successiva che ho intrapreso, in ambito artistico. Non saprei spiegarvelo in termini razionali, ma da quando ho abbattuto i muri, ho inizato ad amare il Tutto.
Bibliografia di riferimento
Gould SJ, Lewontin RC. “The spandrels of San Marco and the Panglossian paradigm: a critique of the adaptationist programme”. Proc R Soc Lond B Biol Sci. 1979 Sep 21;205(1161):581-98. doi: 10.1098/rspb.1979.0086. PMID: 42062.
Morin E. (2000) “La testa ben fatta. Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero”. Raffaello Cortina Editore
Muccioli C. (2018) “L’estetica del vero. Le idee e le immagini della verità nella storia dell’arte”. Prospero Editore
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