
ARTICOLO SCRITTO DA: FRANCESCA DA RE – FORMATORICE SCUOLA OLTRE
Ricordo ancora dopo anni alcune delle lezioni più illuminanti della mia professoressa di Latino e Greco al Liceo, un’insegnante di vita oltre che di materie classiche, che riusciva a trasmettere conoscenza e curiosità per gli argomenti intrecciando passato e presente, trovando nell’uno le radici dell’altro, rendendo più vicino e attuale quello che invece è successo molti secoli fa. In particolare, mi sovviene ogni tanto una sua lezione sull’evoluzione dell’uomo: “L’essere umano si differenzia dagli animali per 3 caratteristiche fondamentali. Sapete quali sono? La stazione eretta. La cottura del cibo. Il seppellire i propri defunti”. Tra queste tre qualità basilari e molto circoscritte, la seconda mi è sempre rimbalzata nella mente durante i successivi anni di studi universitari.
La cottura dei cibi a seguito della scoperta del fuoco è stata una tappa cruciale durante l’evoluzione dell’uomo, poiché ha permesso sviluppi culturali progressivi di enorme importanza soprattutto in campo alimentare. Per Levi Strauss la cottura di cibi con il fuoco è “l’invenzione che ha reso umani gli umani”(1): infatti, prima di apprendere la tecnica, il cibo, e in particolare la carne, veniva mangiata cruda, avariata o anche putrefatta. L’uso del fuoco in tal senso ha portato a una svolta decisiva. Nella visione strutturalista di Levi Strauss la cottura marca simbolicamente una transizione tra natura e cultura, e anche tra natura e società, dal momento che, mentre il crudo è di origine naturale, il cotto implica un passaggio a un tempo culturale e sociale. (2)
Da quel momento in poi si assiste a una nuova occasione di socialità: quella che noi oggi chiamiamo convivialità è iniziata nell’era primitiva con il ritrovarsi attorno a un fuoco per spartirsi il cibo prima solo cacciato e ora cotto, per guardarsi in faccia e iniziare a comunicare su come dividerlo, iniziare a parlare. Comincia, quindi, una lenta e progressiva evoluzione del momento di ritrovo per il pasto, un momento in cui si condivide quanto si è duramente ricercato e cacciato, lavorato per avere. Successivamente l’ordine alimentare assume anche una sua precisa relazione con la dimensione del potere; nel Medio Evo i lauti banchetti delle famiglie più ricche erano il simbolo del benestare delle famiglie di alti ranghi, in contrapposizione alla fame e alla scarsità di cibo presente tra la popolazione più povera. Il cibo acquisisce valore e diventa un simbolo attraverso cui comunicare il proprio stato, e attraverso il quale poter comunicare o meno l’appartenenza a un gruppo.
Il valore del cibo e dei pasti si evolve nel corso dei secoli: i racconti mitologici, la storia antica, la letteratura e le religioni raccontano in ogni dove di banchetti e pasti propiziatori, dove il cibo non solo rappresentava un mezzo di comunicazione fra gli uomini ma anche tra uomo e divino, e i pasti diventano momenti salienti per la storia. Celebre nella Mitologia greca il banchetto organizzato da Zeus per la celebrazione delle nozze di Peleo e Teti: da questo banchetto iniziò la cascata di episodi che portò alla guerra di Troia, con il Giudizio di Paride nell’assegnazione del pomo della Discordia alla dea più bella. Non fu un caso che l’ambientazione della svolta decisiva per la storia di due popoli, quello greco e quello troiano, si svolse attorno a una tavola imbandita.
Ma torniamo al valore del cibo e del pasto come momento di aggregazione dal valore sociale: si può mangiare per gioia, felicità, soddisfazione, insieme con amici, compagni, familiari, per con-dividere con loro un’emozione positiva attraverso il cibo in tavola. Riunirsi, ritrovarsi e pasteggiare insieme costituisce una modalità privilegiata per costruire nuovi rapporti o consolidare i vecchi, per plasmare le relazioni sociali. La parola convivio, termine aulico per banchetto, deriva dal verbo «convivere» e perciò diventa compagno colui con il quale consumiamo il pasto in comune: quando c’è un convivio, c’è un nesso e quindi una comunità. Nell’opera «Convivio» Dante Alighieri struttura una trasmissione di conoscenze proprio attraverso il cibo (da qui il titolo del testo) avvertendo il lettore già all’inizio del libro che le pietanze del banchetto saranno canzoni del Convivio, mentre il pane che le accompagna è costituito dai commenti che ci offrono i singoli trattati: la metafora alimentare viene utilizzata come metafora del conoscere (3). Altro famoso banchetto teatro di scambi di sapere lo si trova nel «Simposio» di Platone dove i festeggiamenti per una vittoria teatrale offrono l’occasione agli invitati di scambiarsi discorsi retorici in elogio al dio Eros.
Sempre rimanendo in tema di convivi famosi, si può citare l’Ultima cena, episodio conviviale narrato da tutti e quattro i Vangeli e anche il più raffigurato. Non essendoci informazioni specifiche sugli alimenti consumati, la loro rappresentazione grafica è stata basata sulla cultura del tempo (agnello, erbe amare, pane azzimo) o lasciata al libero arbitrio del pittore e alle sue radici: per esempio, nella chiesa di San Giorgio a San Polo di Piave (TV) Giovanni di Francia raffigura dei gamberi di fiume che assieme al vino rosso costituivano un pasto diffuso nella zona, mentre nella chiesa di San Leonardo a Tesero (TN) Gesù e i suoi discepoli cenano con il bretzel. La poca attenzione data nello scritto agli alimenti lascia spazio al vero punto di interesse dell’episodio: il valore sociale. (4) Non solo l’ultimo momento di ritrovo conviviale di Gesù con i suoi apostoli ma anche il tradimento di Giuda, con il bacio, nel momento finale della cena. Un convivio ricco di significato ed emozioni che assume un ruolo importante nell’evoluzione della storia cristiana.
Portatrice di una cultura conviviale è senz’altro anche la civiltà contadina di un recentissimo passato, alla cui tavola venivano prese le decisioni lavorative, si educavano le giovani generazioni, si discuteva di politica. Grandi banchetti erano organizzati in occasione dei momenti più importanti della vita rurale e legata all’evolversi delle stagioni: la vendemmia, il raccolto, la trebbiatura, … insieme alle occasioni di ritrovo per le feste liturgiche. Si preparava, si cucinava, si condivideva, si parlava, si mangiava insieme, ma si trasmetteva al contempo anche cultura e tradizione; condividere il pasto rendeva tutti partecipi della stessa comunità e degli stessi valori, era simbolo di appartenenza a un gruppo. (5)
Tale importante valore della convivialità lo ritroviamo anche ai giorni nostri, seppure in forma un po’ diversa: si dà più spazio sì al mangiare insieme per festeggiare qualcosa ma maggiormente fuori casa e spesso in condivisione sui social network, quasi a voler espandere la cerchia di commensali in forma virtuale ed esponenziale. Si perde un po’ forse quell’intimità propria della cerchia domestica, della casa, dove chi partecipava contribuiva dall’inizio alla fine dando una mano in cucina, nell’apparecchiare la tavola, nel portare in tavola il cibo e condividerlo perché parte della famiglia. Cucinare gli uni per gli altri è una forte segno di inclusione nella propria intimità, nella propria cerchia ristretta: trasformo e cucino qualcosa che non lo sarebbe e lo rendo appetibile per te, ti dono qualcosa che ho creato io con le mie mani e con la mia partecipazione emozionale, rendo tuo qualcosa che è mio. Il pasto è il momento di accoglienza e ritrovo tra tutti i membri del nucleo, chi più lontano, chi più vicino, ma tutti insieme presenti per mangiare, per esempio, il piatto caratteristico della padrona di casa, quel piatto che per alcuni solo al profumo riporta a ricordi di anni addietro quando da piccoli si correva e giocava liberi per casa e si veniva richiamati dal profumo della cucina.
Si avvicina il Natale: riscopriamo il convivio familiare e aiutiamo le famiglie e i bambini a ritrovarlo, viviamo le emozioni belle che scaldano il cuore mentre ci sediamo a tavola con le persone più vicine a noi. È un Natale difficile, per alcuni ricco non di regali ma di pensieri negativi e problemi, purtroppo. Insegniamo a partire dalle piccole cose per ritrovare un po’ di quella serenità e allegria che si annusava nell’aria a dicembre gli anni scorsi; andiamo alla ricerca della magia che circonda e accompagna questi ritrovi, coinvolgiamo i bambini nel crearla a scuola e a casa, e invitiamo le famiglie a partecipare a questa ricerca.
Ripartiamo dalla tavola, dal cibo e dalle nostre famiglie.
RIFERIMENTI:
- “Mythologiques I”, Levi Strauss, 1964
- “La dimensione culturale del cibo” – Barilla Center for Food Nutrition
- «Cibo e metafora del cibo in Dante», Jànos Kelemen (in Arnaldo Dante Marianacci, Antonio Donato Sciacovelli «Il cibo e le feste nella letteratura italiana, Istituto Italiano di Cultura, Budapest 2006. 43-53)
- “Nel cenacolo il cibo come simbolo”, Cristina Mocci, luglio 2019 su https://www.zafferano.org/arguments/nel-cenacolo-il-cibo-come-simbolo/
“La convivialità della tavola: un ‘sapore’ ormai perduto”, Martina Crescenzi, Novembre 2013 su http://www.nutrifun.it/2013/11/11/la-convivialita-della-tavola-sapore-ormai-perduto/
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