Appunti di pedagogia creativa

Bambini affetti da mutismo selettivo: il bambino che disse ciao.

Ping è un bambino dai capelli scuri e dal viso che ricorda una luna piena; frequenta la terza elementare nella provincia di Torino e da tre anni, a scuola, non dice una parola. Niente. Neanche una sillaba. L’informazione, ottenuta dalle insegnanti qualche minuto prima di entrare in classe, non mi spaventa: del resto nella linea “Viaggio nella Grammatica fantastica”, all’interno del progetto Diderot della Fondazione CRT, la parola è importante fino a un certo punto, visto che si può partecipare pienamente a tutte le attività in modo immaginativo, artistico e teatrale, senza bisogno di usare la voce.

 

Si comincia con un riscaldamento teatrale dove i bambini si muovono nello spazio come prìncipi e principesse lentamente, poi velocemente e infine in slow motion. Successivamente i prìncipi e le dame che lo desiderano si trasformano in cavalieri abili nell’andare a cavallo: al passo, al trotto, al galoppo e a duellare tra loro, maneggiando spade invisibili con la stessa maestria che vediamo spesso in azione nell’arte del fioretto. Al termine del riscaldamento è sempre bello osservare il colorito rosso acceso che divampa sui volti dei bambini grazie al calore che si è propagato nel corpo. Spesso il respiro è affannoso e ci porta a considerare quanto poco siano abituati a muoversi, a correre, a galoppare, sulle ali della fantasia.

L’attività centrale del laboratorio consiste nella presentazione di una serie di indovinelli, tanti quanti il numero dei bambini presenti in classe, e consente di individuare alcuni NOMI CONCRETI (di animale o di cosa) che gli alunni disegneranno in grande sui fogli da disegno e che li porterà a scoprire  i NOMI COMPOSTI. Ci sono indovinelli che presentano una facilitazione: «Chi ce l’ha diventa matto, fa le fusa, è proprio il…!» (gatto); «Questa rima non mi riesce, starò muta come un …!» (pesce). Ci sono indovinelli senza facilitazionicome nel caso seguente: «Cosa fa rima con renna? Hai capito? Si, è la…» (penna)

Come farà Ping a indovinare l’oggetto o l’animale senza ricorrere all’uso della voce? Magari mimandolo, nel caso dell’animale o estraendolo dal suo zaino per quanto riguarda l’oggetto. Ed è esattamente ciò che fa tirando fuori un astuccio a due piani che apre per mostrare alla classe una penna. Lo osservo: la sua postura adesso appare decisamente più rilassata.

Quando tutti i nomi concreti sono stati rappresentati, chiedo ad Adam che ha disegnato la PORTA di “portarmela”, poi invito tutti gli altri, in base al disegno fatto, di verificare se può abbinarsi alla porta.

Elisa porta una CHIAVE e la prima reazione della classe, vedendola affiancata alla porta, è di una logica stringente: «Certo! Sicuro! Per aprire la porta ci vuole la chiave…» poi Sofia va oltre e “legge” distintamente ciascuna immagine: PORTA CHIAVE, poi le rilegge eliminando lo spazio tra le due: PORTACHIAVE. Un guizzo di luce attraversa gli occhi della maggior parte dei bambini: PORTACHIAVE! Un guizzo di sorpresa percorre anche gli occhi di Ping, un lampo che si fa intuizione e quindi comprensione. Si alza e accosta la penna che ha disegnato alla porta.

«PORTAPENNA!» gridano i suoi compagni all’unisono.

Alla fine, quando la classe sta per uscire dall’aula, Ping mi si avvicina e pronuncia chiaramente due sillabe: CIA-O.

Che cosa è successo?

Sappiamo che nel mutismo selettivo i fattori psicologici e sociali giocano un ruolo cruciale. Il contesto può quindi contribuire in maniera significativa ad aiutare il bambino a parlare o a mantenerlo muto come un pesce? E in caso affermativo, può essere sufficiente creare un clima giocoso, in cui l’errore non è punito ma valorizzato per facilitare l’adattamento di questi bambini alle situazioni nuove?

La mia risposta è: «Sì!».

Difficile, però, prevedere in che tempi. Ho incrociato solo tre casi finora, simili a quello di Ping, e la percezione è stata che tutti e tre i bambini avessero voglia di “parlare”, lo si leggeva nei loro occhi, nelle labbra che si muovevano, senza emettere suono, nel pronunciare le rime, le filastrocche, i giochi di parole. Ritengo che sia importante, anzi assolutamente necessario, non forzare questi bambini, offrendo contemporaneamente attività vibranti, stimolanti che li incuriosiscano e li invoglino a partecipare. Un mese dopo aver incontrato Ping, in un altro laboratorio ho incrociato una bambina, Frida, affetta dallo stesso disturbo. Questa volta nessuno mi aveva avvisato, quindi del tutto ignara della situazione ho chiesto ai bambini di presentarsi scandendo bene il proprio nome e di accompagnarlo con un gesto. Arrivati a Frida il nome non si sentiva, ma il gesto era evidente: una A aperta piena di fiducia… Quella A mi ha fatto pensare che forse con qualche laboratorio in più…

 

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