Alimentare Cultura: effetto Madeleine e i ricordi legati al cibo

Alimentare Cultura: effetto Madeleine e i ricordi legati al cibo

25/11/2020

ARTICOLO SCRITTO DA: Simonetta Marucci e Monica Colli – FORMATRICE SCUOLA OLTRE

 

Alimentare Cultura: effetto Madeleine e i ricordi legati al cibo (a cura di Simonetta Marucci)

La vista della focaccia, prima di assaggiarla,

non m’aveva ricordato niente;(…) forse perché

di quei ricordi così a lungo abbandonati fuori della

memoria, niente sopravviveva (…). Ma quando niente

sussiste d’un passato antico, dopo la morte degli esseri,

dopo la distruzione delle cose, più tenui ma più vividi,

più immateriali, più persistenti, più fedeli, l’ODORE

e il SAPORE, lungo tempo ancora perdurano, come

anime, a ricordare, ad attendere, a sperare, sopra

la rovina di tutto il resto, portando sulla loro stilla

quasi impalpabile, senza vacillare, l’immenso

edificio del RICORDO.

Proust

Nessuno potrebbe raccontare meglio di come l’abbia fatto Proust, quella sensazione che tutti abbiamo prima o poi provato nel sentire un profumo di un cibo particolare.

Camminando per le vie di un piccolo borgo può succedere di percepire un profumo di soffritto, di dolce appena sfornato, di arrosto e immediatamente quell’odore ci suscita un ricordo, un ricordo di casa, di famiglia, di una festa insieme…

Ogni casa ha un suo odore e il sugo per la pasta cucinato dalla nonna o dalla mamma a casa propria è diverso da tutti gli altri. Per una misteriosa alchimia, gli stessi ingredienti producono un risultato diverso a seconda della mano che li mescola e li amalgama.

In città è più difficile; forse salendo le scale di un condominio può succedere di percepire qualche odore trapelare da una porta, mentre per le strade piene di gente frettolosa è più facile essere catturati dagli odori forti di qualche rosticceria o dei vari fast food.

L’arrosto è arrosto, cosa cambia se è fatto in rosticceria? Le patatine sono le stesse, anche se a friggerle è il cuoco della grande M gialla…. Eppure qualcosa di diverso c’è: l’odore è sempre lo stesso, non cambia se giri per le strade di Roma o Milano o Londra, non ti dà un’idea di “casa”, di famiglia.

Questa omologazione dei cibi e dei loro odori, portata dal cibo preparato fuori casa, dal cibo precotto, industriale, ci sta sottraendo l’esperienza primordiale che ha sempre collegato l’uomo al suo nutrimento, quella cioè dell’olfatto e del suo legame con il mondo delle emozioni.

Nel 2004, due ricercatori hanno vinto il Premio Nobel proprio per aver scoperto il collegamento tra i recettori olfattivi e il sistema delle emozioni e questo fenomeno è stato battezzato “Effetto Madeleine” in omaggio alla magistrale descrizione di Proust.

La scienza della alimentazione ci rende sempre più attenti al contenuto nutrizionale dei nostri cibi, le mamme sono, anche giustamente, preoccupate di dare ai loro bambini degli alimenti nutrienti, ricchi di vitamine, perfetti sotto tutti i punti di vista.

L’industria alimentare crea formule bilanciate, produce cibi perfetti nei sapori e nella composizione… ma non ci fa emozionare!

I ricordi della nostra infanzia sono strettamente intrecciati con gli odori delle marmellate, delle torte, delle lasagne preparate il sabato con l’aroma del ragù che riempiva la casa, odori che rimandano alle feste, ai Natali, alle Pasque, ai compleanni e ai matrimoni.

Oggi è sempre più difficile trovare il tempo per cucinare e a volte costa anche meno comprare un cibo già confezionato. Dal punto di vista nutrizionale potrebbe anche non essere un problema, a parte i vari conservanti che certamente non fanno bene alla salute, ma la soddisfazione che ci deriva dal pasto non dipende solamente dal senso di sazietà che esso induce.

La Natura è talmente perfetta che ha collegato alla sazietà i centri nervosi che presiedono al Piacere e alla Gratificazione, rendendo il bisogno biologico di nutrimento, una “piacevole necessità”.  Se il pasto non riesce a comunicarci una sensazione di gratificazione, non ci sentiamo completamente sazi, siamo insoddisfatti e continuiamo a cercare il cibo, magari cibi dolci, rincorrendo il piacere di cui il nostro organismo ha bisogno.

Uno dei motivi per cui la gente, soprattutto i bambini, oggi hanno sempre più un atteggiamento di ricerca compulsiva del cibo, con conseguente aumentato rischio di obesità, è proprio questa insoddisfazione, questo livello basso di gratificazione legato al cibo.

Dobbiamo tornare a rispolverare le pentole, a mescolare gli ingredienti, coinvolgendo i bambini in questa piacevole operazione, facendo loro scoprire la magia del profumo che si libera dalle materie prime sotto l’azione dell’acqua e del fuoco, e introdurli fin da piccoli alla meravigliosa alchimia della cucina della nostra casa, dove l’ingrediente fondamentale, quello che rende il nostro piatto diverso da tutti gli altri, è l’Amore.

Certo per fare questo ci vuole tempo, un tempo più lungo, disteso, proprio come quello del weekend o quello imposto dal lockdown…

La focaccia extralarge- frammenti di vita vera (a cura di Monica Colli)

Prima media, intervallo in una scuola secondaria di primo grado di Milano, prima della pandemia.

Tre maschietti iperattivi e inseparabili di prima media all’intervallo adocchiano la focaccia extralarge portata da uno di loro per merenda (nonostante il divieto di portare a scuola merende di quella tipologia e formato). Chiedono perciò all’amico “proprietario” di condividerne un pezzo e al suo rifiuto decidono di chiuderlo in bagno per sbafarsela con calma. L’intervallo si conclude e i due si dimenticano del compagno nel bagno. Sarà l’insegnante di lettere a chiedere dove sia A. e a richiamare, molto severamente e mandandoli dal Preside, i due colpevoli.

Chiarito che si è trattato di un episodio sporadico, in un rapporto a tre in cui il ragazzino chiuso in bagno di solito svolge, in classe, il ruolo di trascinatore e di leader, la mamma di un altro bambino della classe, Leo, interpella suo figlio su quanto successo. Leo risponde che secondo lui l’insegnante è stata esagerata nella sua reazione. La mamma allora sollecita il figlio a mettersi nei panni del bambino che è rimasto chiuso in bagno per diversi minuti. E il figlio le risponde: «Ma mamma, come faccio a mettermi nei suoi panni?  A me non succederò mai: chi pensi voglia mangiarsi la mia mela?».

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