A Tina puzza il fiato… EVITATELA!

Di Miriam Pizzardi e Elisa Delvecchio
Dipartimento di Filosofia, Scienze Umane, Sociali e della Formazione, Università degli Studi di Perugia, e formatrici Scuola Oltre.

L’aggressività relazionale nelle preadolescenti: di che si tratta e come riconoscerla

La letteratura scientifica ci offre numerosi studi e ricerche che mostrano come i ragazzi, sin dall’età infantile, siano più aggressivi delle ragazze, soprattutto in termini di aggressività fisica. Ciò nonostante, recenti scoperte indicano che le differenze di genere nei comportamenti aggressivi scompaiono quando si include e considera un ulteriore tipo di aggressività definita “relazionale” (Conway, 2005). Con questo termine si fa riferimento alla messa in atto di comportamenti volti a danneggiare intenzionalmente le relazioni stabilite da altri, attraverso la diffusione di pettegolezzi, diffamazioni e storie inventate al fine di elicitare maliziosamente il rifiuto, da parte del gruppo dei pari, della “vittima” la quale finisce per essere esclusa.

Sebbene questa tipologia di aggressività sia presente in maschi e femmine, le ricerche dimostrano come si riscontri in misura prevalente in quest’ultime, a partire dall’età preadolescenziale (Crothers et al., 2007). In questo periodo di vita, infatti, si verificano numerosi cambiamenti tra i quali la pubertà, che comporta trasformazioni fisiche e ormonali particolarmente evidenti nelle femmine, che influenzano la vita psicosociale, ma anche il trovarsi all’interno di un contesto nuovo e sconosciuto, rappresentato dall’ingresso nella scuola secondaria di primo grado, che innesca un bisogno di sicurezza e di appartenenza, che può essere garantito dal sentirsi accettati e parte di un gruppo. Nonostante l’esperienza di tali cambiamenti riguardi pure i maschi, le ragazze, ancor prima dei loro coetanei, mostrano di conferire una maggiore centralità alle relazioni con i pari e ciò può motivarle a guadagnarsi a ogni costo l’amicizia delle nuove compagne, mettendo in cattiva luce quelle considerate come potenziali competitrici.

Alcune ricerche suggeriscono che le ragazze differiscono dai ragazzi nel modo di relazionarsi e di regolare ed esprimere le emozioni. Solitamente, esse tendono a stabilire relazioni più intense dal punto di vista emotivo, attribuendo maggior rilievo alla qualità dell’amicizia piuttosto che alla numerosità dei legami instaurati. Ciò nonostante, questo maggior investimento nei rapporti amicali è spesso associato a relazioni più fragili e instabili. Le ragazze sin dall’età preadolescenziale sono alla ricerca di amicizie condivise all’interno di piccoli gruppi o di una diade che possa perciò assicurare loro un soddisfacente livello di vicinanza, supporto e solidarietà. Per mantenere questo status, tuttavia, esibiscono spesso atteggiamenti e comportamenti volti al controllo della relazione tramite la ricerca del contatto fisico, l’utilizzo di messaggi, telefonate e così via, per colmare possibili vissuti di diffidenza, gelosia e competizione che caratterizzano frequentemente le amicizie femminili. L’ingresso di una nuova ragazza all’interno di un piccolo gruppo o di una diade, infatti, può rappresentare una minaccia per la stabilità della relazione, minando anche la posizione di potere e il ruolo assunto all’interno di essa che viene perciò difeso attraverso l’uso di comportamenti riconducibili all’aggressività di tipo relazionale. Inoltre, emozioni legate a rabbia, frustrazione, solitudine, insicurezza e sentimenti di gelosia, vendetta e invidia, di solito non vengono manifestati dalle ragazze in maniera diretta attraverso comportamenti aggressivi di natura fisica, come può accadere per i ragazzi, ma piuttosto tendono a essere mascherati, il che suggerisce che esistano probabilmente delle regole differenti, legate soprattutto a stereotipi culturali, che contribuiscono a istruire le ragazze a non esprimere esplicitamente rabbia o angoscia, favorendo così l’insorgenza di strategie volte a inibire l’espressione diretta delle emozioni negative. Queste strategie sono riconducibili a forme di aggressività relazionale. Tra le forme più frequenti troviamo: la messa in atto di comportamenti provocatori (per esempio: fare dispetti, schernire e sbeffeggiare), il ritiro dell’affetto (per esempio: minacciare di interrompere un’amicizia), la diffusione di pettegolezzi (storie inventate, bugie, diffamazioni) e, infine, escludere intenzionalmente la “vittima”, a cui sono destinati questi comportamenti, dal gruppo dei pari, talvolta adottando anche atteggiamenti non verbali (per esempio: squadrarla con gli occhi, ignorare la sua presenza). Spesso le preadolescenti utilizzano queste forme relazionali di aggressività per raggiungere popolarità (Bowie, 2007) o per ottenere una posizione più influente all’interno del gruppo, in modo che gli altri membri siano più disposti ad accettare i loro bisogni (Radliff e Joseph, 2011). Tuttavia, l’inibizione dell’espressione delle emozioni negative unite all’utilizzo di queste forme di aggressività, può limitare lo sviluppo di adeguate competenze sociali e comportamentali, nonché l’utilizzo di un repertorio flessibile di strategie efficaci per la regolazione delle emozioni. Evidenze empiriche dimostrano come il ricorso a comportamenti riconducibili ad aggressività relazionale siano associati a problemi di adattamento, a scarse competenze sociali, nonché a problematiche connesse ad ansia e depressione, sul versante internalizzante, e a condotte oppositive-provocatorie, su quello esternalizzante, che se protratte nel tempo potrebbero sfociare in comportamenti antisociali nel periodo adolescenziale (Conway, 2005).

Inoltre, le studentesse che presentano alti livelli di aggressività di tipo relazionale presentano maggiori conflitti con gli insegnanti e ciò può portarle a disimpegnarsi nello studio, ad avere comportamenti disadattivi in classe e scarsi risultati scolastici (Ladd & Burgess, 2001; Stipek & Miles, 2008). In aggiunta, da quando la tecnologia ha permesso la comunicazione e la connessione a distanza attraverso la messaggistica istantanea, le email e i social network, si è iniziato a sentir parlare sempre più spesso della diffusione di una nuova forma di bullismo, il “cyberbullismo”, che comprende forme riconducibili all’aggressività relazionale veicolate tramite i dispositivi telematici. In questo modo la “vittima” sembra avere ancora meno scampo perché può essere bersaglio dei suoi aggressori a prescindere dal contesto in cui si trovi, sentendosi in pericolo e subendo dolorosamente tale aggressività persino in casa propria. Questa forma di aggressività è più difficile da rilevare, sia a causa della sua natura “implicita” sia perché spesse volte gli aggressori godono di popolarità e sono temuti dalle loro vittime, le quali tendono quindi a non denunciare o segnalare il loro disagio. Tuttavia, nonostante queste difficoltà, la scuola rappresenta l’ambiente ideale per la rilevazione e la messa in atto di interventi volti a prevenire e/o limitare l’aggressività relazionale poiché rappresenta il contesto sociale per eccellenza all’interno del quale ragazzi e ragazze interagiscono. Oltretutto, proprio nella preadolescenza gli studenti iniziano a interessarsi e a investire maggiormente nelle relazioni con i pari, cominciando a definire il loro ruolo sociale e a sviluppare e sperimentare nuove competenze relazionali che diventano gradualmente sempre più complesse. Per questa ragione è importante che la scuola e i suoi docenti, siano abili nel riconoscere questi comportamenti e contemporaneamente promuovano negli studenti l’acquisizione di una maggiore consapevolezza di sé e degli altri fondamentale per gestire le proprie emozioni e relazionarsi in modo positivo con i coetanei. Gli insegnanti che mostrano di essere sensibili e capaci di rilevare quei comportamenti che mettono gli studenti a rischio di diventare aggressori o vittime, intervenendo efficacemente, contribuiscono a uno sviluppo sano e funzionale dei loro studenti, garantendo anche il loro benessere emotivo e interazioni sicure e adeguate.

Per ciò che concerne specificatamente la prevenzione e/o l’intervento relativo all’aggressività relazionale riscontrabile nelle ragazze, è necessario che i docenti siano anzitutto in grado di identificare l’eventuale presenza sia di chi perpetra, che di chi subisce l’atto aggressivo. Per esempio, in molti casi, le preadolescenti che mettono in atto comportamenti riconducibili ad aggressività relazionale sono quelle che possiedono una visione negativa di se stesse e degli altri e che pertanto utilizzano tale aggressività come strategia di difesa nelle situazioni interpersonali. In altri casi, sono coloro che mal interpretano i segnali sociali rispondendo in maniera inadeguata e inopportuna, che hanno alle spalle una storia di problemi disciplinari in svariati contesti, tra i quali la scuola, o che provengono da situazioni familiari problematiche e/o conflittuali. Per quanto riguarda le studentesse che potrebbero essere delle potenziali vittime troviamo frequentemente ragazze “nuove” arrivate da poco nella classe, quelle che sono tendenzialmente riservate e che trascorrono la gran parte del tempo in solitudine, quelle che presentano atteggiamenti imbarazzanti o “goffi”, che provengono da etnie diverse o che hanno orientamenti religiosi differenti. Queste caratteristiche non sono esaustive, ma possono essere associate a chi subisce o esercita tale aggressività, fungendo quindi da indicatori che possono facilitarne il riconoscimento. Per agevolare l’identificazione di queste situazioni e sensibilizzare gli studenti, gli insegnanti possono coinvolgere altri alunni, ma anche professionisti come educatori e psicologi. Quest’ultimi, per esempio, attraverso l’utilizzo di strumenti specifici e di competenza, quali questionari e interviste, possono valutare il grado di conoscenza e di autoconsapevolezza relativo all’aggressività relazionale.

Una delle principali raccomandazioni per la prevenzione e l’intervento riguarda proprio l’incremento della consapevolezza e della comunicazione. Pertanto, dal canto loro, attraverso l’impiego di tecniche psicoeducative, gli insegnanti possono promuovere discussioni, in classe o, più in generale, in tutta la scuola, fornendo informazioni circa le varie forme di aggressività relazionale, stimolando il riconoscimento dei fattori che possono mettere gli studenti a rischio, offrendo la conoscenza dei supporti sociali a cui poter chiedere aiuto e chiarendo i potenziali esiti negativi. Inoltre, per comprendere più approfonditamente il punto di vista e le conoscenze degli alunni si potrebbe ricorrere ad attività specifiche. Fra queste, si potrebbe chiedere loro di scrivere delle brevi note circa le proprie idee, impressioni o anche esperienze dirette o indirette sull’argomento, in forma anonima, che poi ciascun alunno potrà inserire all’interno di una fessura incisa su uno scatolone. Alla fine di tale attività, l’insegnante, rovesciando lo scatolone, potrà leggere i commenti degli studenti, facendoli disporre a cerchio, in modo da avviare una discussione e un confronto offrendo così anche la possibilità di conoscersi meglio, di imparare a comunicare pensieri ed emozioni e di essere più assertivi. Inoltre, i docenti potrebbero ricorrere al roleplaying, chiedendo alla classe di inscenare possibili situazioni di aggressività relazionale, assegnando a ciascuno studente un ruolo. In questo modo gli studenti più abili nelle competenze sociali potranno fungere da esempio per quelli meno abili, dimostrando di ricorrere a strategie più funzionali in determinate situazioni sociali. Immaginare possibili scenari in cui viene chiesto di assumere il ruolo della vittima e dell’aggressore permette agli studenti di confrontarsi sulle diverse modalità di comportamento utilizzate da ciascuno, favorendo così un ampliamento delle strategie a cui poter ricorrere (Cappella, Weinstein, 2006). Ogni studente può proporre la sua soluzione, riflettendo insieme ai compagni su quale sia la più adatta nelle diverse situazioni. L’insegnante, tuttavia, potrebbe anche ricorrere all’utilizzo di vignette che rappresentano situazioni ed episodi di aggressività relazionale, chiedendo agli studenti di descrivere cosa sia raffigurato in ciascuna immagine, cosa stia accadendo e quali potrebbero essere i possibili esiti della circostanza rappresentata e le possibili soluzioni per modificarli, stimolando così l’elaborazione di suggerimenti/strategie di problem solving da poter impiegare nelle situazioni sociali. Il ruolo dell’insegnante risulta fondamentale nel favorire un clima di apertura, di rispetto e di accoglienza in cui gli studenti si sentano liberi di esprimere pensieri ed emozioni.  È importante, inoltre, che le attività che si propongono coinvolgano tutti gli studenti, sia femmine che maschi, sia perché l’aggressività relazionale può riguardare entrambi i generi, sia perché in particolare il punto di vista dei ragazzi, rispetto all’aggressività relazionale tra ragazze, potrebbe risultare arricchente. Quest’ultime, infatti, proprio a partire dalla pubertà che scatena diversi cambiamenti evidenti soprattutto nell’aspetto fisico, possono iniziare a competere tra loro anche in termini di attrattività, cercando di screditare le compagne pur di riscuotere successo tra i maschi.

Per incentivare un’atmosfera serena, di sostegno e cooperazione tra studenti che favorisca comportamenti prosociali e interazioni più adeguate e sicure, possono essere proposte anche attività che prevedano lavori di gruppo o in coppia (per esempio: scrivere insieme il testo di una canzone o di una poesia sul tema della solidarietà), modificando le abituali compagnie degli studenti affinché vengano offerte occasioni per stimolare la socializzazione con qualsiasi membro della classe, specialmente quelli con cui non è preferita o gradita l’interazione. Con le classi si potrebbe, inoltre, organizzare uno spettacolo teatrale, oppure un evento online, sul tema dell’aggressività relazionale o anche, nello specifico, sul cyberbullismo. Per quanto riguarda gli insegnanti è importante e auspicabile che stabiliscano con i ragazzi una relazione supportiva, mostrandosi sensibili e disponibili nei loro confronti. Alcune delle azioni che possono contribuire a coltivare relazioni positive con gli studenti includono l’informarsi su quali siano i loro interessi, apprezzare, commentare positivamente e rinforzare il comportamento appropriato degli studenti (specialmente quelli più aggressivi) e aiutarli ad esprimere pensieri ed emozioni attraverso un atteggiamento non giudicante (Stipek & Miles, 2008).

In conclusione, è auspicabile che i docenti, grazie all’uso dell’empatia, predispongano un ambiente scolastico positivo, sano e sicuro all’interno del quale gli studenti possano apprendere e relazionarsi serenamente, sviluppando competenze sociali adeguate, accrescendo la consapevolezza di sé e degli altri e imparando a coltivare la solidarietà e la cooperazione, essenziali nel prevenire o ridurre l’aggressività relazionale.

BIBLIOGRAFIA

  • Cappella, E., Weinstein, R., (2006) The Prevention of Social Aggression among Girls. Social Development, 15, 3, 2006.
  • Conway, A., (2005). Girls, Aggression and Emotion Regulation. American Journal of Orthopsychiatry. Univeristy of Tennessee.
  • Crothers,L.M., Field, J. E.,Kolbert, J.B., Bell,G. R.,Blasik, J. L.,Camic, L. A., Greisler, M. J., & Keener, D. (2007). Relational aggression in childhood and adolescence: Etiology, characteristics, diagnostic assessment, and treatment. Counseling and HumanDevelopment, 39,1–24.
  • Ladd, G. W., & Burgess, K. B. (2001). Do relational risks and protective factors moderate the linkages between childhood aggression and early psychological and school adjustment? Child Development, 72, 1579–1601.
  • Radliff, K., Joseph, L. M., (2011). Girls Just Being Girls? Mediating Relational Aggression and Victimization. Preventing School Failure, 55(3), 171–179, 2011. Taylor & Francis Group.
  • Stipek, D., & Miles, S. (2008). Effects of aggression on achievement: Does conflict with the teacher make it worse? Child Development,79, 1721–1735.

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